La FotoCosa del Giorno | Il Vietnam di Gianfranco Moroldo

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Sapevate che il 16 settembre è il giorno in cui la più alta percentuale di persone al mondo festeggia il proprio compleanno?

Oggi avrebbe compiuto 93 anni anche Gianfranco Moroldo, fotoreporter famoso soprattutto per le sue foto del Vietnam, ma che nella sua carriera ha coperto storie in tutto il mondo con il suo stile asciutto e il suo sguardo umano, sempre attento alle contraddizioni dentro di esse.

Professione: a rischio

Moroldo è stato il primo fotografo italiano ad aggiudicarsi un World Press Photo con la sua celebre foto che ritrae la rabbia e la disperazione di un uomo davanti alla sua casa distrutta dal terremoto a Belice.

Se siete fortunati potete anche trovare una copia della sua autobiografia “Passaporto n. 953647H, professione: a rischio” titolo che la dice lunga sulla vita di un fotografo che, tra le altre cose, ha coperto 18 tra guerre, rivolte e rivoluzioni, oltre a disastri come il Vajont e l’alluvione di Firenze.

La sua carriera è legata indissolubilmente a L’Europeo, il settimanale con il quale iniziò a collaborare dal 1954 lavorando anche accanto ad Oriana Fallaci, con la quale condivise alcune esperienze durante la guerra del Vietnam, dove lui ha viaggiato per 3 volte.

Qui Moroldo aveva scattato, tra le altre foto, una di un soldato piangente per la perdita dei compagni avvenuta poco prima.

La storia di come si sia salvata questa foto ce la racconta stesso Moroldo in un articolo de L’Europeo N°16 del 1987:

Il Vietnam era davvero così e Platoon lo descrive perfettamente: la paura, la violenza e l’istinto. La pelle attaccata al naso. A Dak To, nel mezzo di una delle più spaventose battaglie della guerra, quella per il controllo del Sentiero di Ho Chi Min alla frontiera tra Laos e Cambogia, ci passai il Capodanno del 1968. I C130 scaricavano i plotoni dei rinforzi e stavano giusto il tempo per caricare i morti. Frazioni di secondo per non essere colpiti dai razzi dei vietcong. Un angoscioso cambio della guardia: per ogni morto, un vivo. Ma per quanto? Ricordo le facce dei Larry, dei Joe, dei Mike che arrivavano, pallide, tirate, l’occhio fisso sui morti impacchettati, le orecchie tese ai colpi di mortaio sulle colline attorno. Non li avevano mai visti. Non li avevano mai sentiti. Al tramonto, gli elicotteri arrivano come calabroni sollevando nuvole di terra rossa. Gente che corre. Barelle portate a spalla. Urla di un sergente: «Via di qui, via tutti!». Restiamo perché sentiamo dentro che sta per succedere qualcosa di grosso. Scendono i superstiti della collina 875, un perimetro di pochi metri dove gli americani, da giorni, giocano una mortale partita a tennis con i viet. Sono una trentina, gli occhi vuoti come pupazzi. C’è chi ride da solo. Chi parla a macchinetta: «L’ho beccato. Correva via, il fottuto. Correva, ma l’ho beccato». «Tre giorni inchiodati, pancia a terra, su quella collina». «Un massacro, un fottutissimo massacro». «John è morto la prima notte. Ho dormito sotto di lui. Mi proteggeva. Non c’era altro con cui proteggersi. Hai una sigaretta, per favore?». L’ultimo a scendere è un ragazzino, con le braccia aperte, trascina i piedi e singhiozza, vede un amico che lo guarda impietrito, si avvicina, gli appoggia la testa sul petto. Il singhiozzo si scioglie in un pianto: «Here, I am, alive. Sono vivo, sono vivo», ripete un’infinità di volte. É il volto della tragedia. Nella luce arancione del tramonto, nella terra rossa, nei rumori assordanti, l’immagine di un’apocalisse. Un tenente, che deve aver studiato, se ne accorge. Maledetti fotografi. I rullini, i rullini…». Scarico la macchina al volo. Oriana prende i film e ha la presenza di spirito di cacciarseli nel reggiseno. Salviamo le foto. Sulla collina 875 rimane il resto del battaglione. 268 ragazzi. Tutti morti.

Moroldo è anche noto per aver sempre avuto un comportamento che seguiva l’istinto, come in questo emblematico episodio raccontato nello stesso articolo.

Bene, quell’elicottero che doveva portarci sulla collina 1383 aveva davvero un brutto rumore. «Allora, si va?», ci urla Pip, l’accompagnatore. «Andiamo», risponde Oriana Fallaci. Io sto seduto su un mucchio di casse e mangio la mia razione C, pollo e dolce alla crema. E non mi muovo. «Si può prendere il prossimo?», chiedo con aria distratta. «Forse sì. Ma perché?». Mentre contrattiamo, l’elicottero parte, e io ho risolto il mio problema. «Ma ti sembra il momento di mangiare…», sbraita l’Oriana. In quella, sulla pista di Dak To traforata dai mortai, atterra un secondo elicottero. Scarica i morti impacchettati come liquirizie in sacchi di plastica nera. Il pilota apre lo sportello. Ha un sorriso nervoso, quasi un ghigno: «Chi mena buono di voi? L’altro elicottero è andato in pezzi. Una mitragliata alle pale…».

Gianfranco Moroldo fotografato durante un servizio in Congo,1964

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Fotografo e videomaker

Fotografo e videomaker, dal 2012 è contributor per Getty Images per le foto di viaggio. Oltre a realizzare servizi foto e video, ha organizzato corsi di fotografia anche in collaborazione con università italiane.