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13 Febbraio 1997 | Riparazione del Telescopio Spaziale

Il 13 Febbraio del 1997 lo shuttle Discovery decolla da Cape Canaveral per riparare e tarare alcuni strumenti del telescopio spaziale Hubble. E’ la seconda delle 5 missioni di servizio che si sono susseguite dal 1993 al 2009.

Il telescopio spaziale Hubble
Fonte Nasa

Il Telescopio Spaziale Hubble

Lanciato nel 1990, il telescopio Spaziale Hubble svolazza da trent’anni nell’orbita bassa terrestre, ficcando il naso nei più remoti anfratti dell’universo come nessun altro strumento posizionato a terra potrebbe fare.

Il contributo di Hubble alla nostra comprensione dell’universo non ha eguali, eppure il suo specchio di 2,5 metri di diametro è nato con un difetto che ne ha compromesso le potenzialità nei primi tre anni di servizio, prima di essere corretto con una complessa missione che impegnò ben 7 astronauti per 10 giorni.

Gli astronauti Musgrave e Hoffman installano le ottiche correttive durante la prim missione di servizio.
Fonte: Nasa
Il nucleo della galassia a spirale M100, fotografata con l’Hubble prima e dopo l’installazione delle ottiche correttive.
Fonte: Nasa

Il Telescopio di Tutti

Nonostante Hubble sia stato costruito dalla NASA con il supporto dell’ESA, ed i fondi per le analisi siano stanziati solo da istituzioni statunitensi, chiunque può sfruttarlo per le proprie ricerche, senza restrizioni di nazionalità o istituzione accademica di appartenenza. Addirittura tra il 1990 ed il 1997 è stato a disposizione anche degli astronomi amatoriali, purché le osservazioni proposte fossero di interesse per la comunità scientifica e non si sovrapponessero a quelle già presentate dai professionisti.

I Pilastri della Creazione

Una delle foto più iconiche scattate con il telescopio spaziale Hubble è “The Pillars of Creation” (i Pilastri della Creazione). Ritrae tre colonne di gas e polvere nella nebulosa Aquila, a 5700 anni luce dal nostro pianeta (la luce proveniente da quella nebulosa impiega 5700 anni ad arrivare fino a noi).
Queste torri sono alte alcuni anni luce e la materia contenuta al loro interno sta dando vita a nuove stelle.

Foto Spaziali in Bianco e Nero

Hubble non è il solo occhio che la nostra civiltà ha puntato verso lo spazio, ci sono tutti gli altri Grandi Osservatori della NASA, le varie sonde che abbiamo lanciato nel sistema solare e i telescopi terrestri che, seppur limitati dall’atmosfera, ogni giorno catturano spettacolari immagini dallo spazio profondo.

Le fotografie scattate da Hubble e dagli altri strumenti in volo e a terra sono realizzate per lo più in bianco e nero e solo successivamente vengono colorate dai tecnici. I motivi sono essenzialmente tre:

  1. Per gli strumenti in orbita o le sonde in volo interplanetario la questione è legata al fatto che una foto in bianco e nero contiene meno dati di una a colori, quindi può essere inviata più facilmente a terra. Dettaglio non irrilevante se stiamo usando una macchina fotografica spaziale che viaggia ad un centinaio di milioni di chilometri dal nostro pianeta.
  2. Alcuni strumenti, come Hubble, sono progettati principalmente per misurare la brillantezza della luce prodotta o riflessa dagli oggetti nello spazio, quindi l’uso del bianco e nero è la soluzione più funzionale.
  3. Molti dei soggetti di queste foto brillano di una luce che i nostri occhi non possono vedere, ma le nostre macchine fotografiche spaziali sì. Accade ad esempio che molte galassie emettano pochissima luce visibile, ma siano particolarmente luminose agli infrarossi, quindi per vedere esattamente come sono fatte occorre catturare lunghezze d’onda per le quali i nostri occhi sono ciechi.

Fonte ESO

Quindi le Foto dello Spazio Hanno Colori Inventati?

La risposta è tendenzialmente no. Ma dipende dalla specifica tipologia di immagine e dallo scopo per cui è stata prodotta.

Le foto scattate da strumenti come Hubble, che sono progettati per registrare solo immagini in bianco e nero, hanno colori assolutamente veritieri, quando puntano i loro obiettivi su oggetti che emettono luce visibile.

In questi casi si usa un processo simile a quello con cui il nostro occhio riproduce i colori partendo dai tre primari (rosso, verde e blu). Si scattano tre foto in bianco e nero, usando ogni volta un filtro che lascia passare solo uno dei primari. In questo modo otteniamo tre immagini grige, ma se le sovrapponiamo abbiamo tutte le informazioni che ci servono per ricostruire i colori della scena reale.

Immagine in bianco e nero della Nebulosa Aquila
Immagine a mosaico composito tricolore della Nebulosa Aquila realizzata sovrapponendo 3 filtri R, G e B.
Fonte ESO

La Luce che Non Vediamo

La luce visibile è una radiazione elettromagnetica. Ogni colore che i nostri occhi possono catturare corrisponde ad una specifica lunghezza d’onda e tutta la gamma dei colori visibili è collocata su una roba chiamata spettro ottico, una piccola porzione dello spettro elettromagnetico che comprende tutte le radiazioni dell’universo: dalle onde radio delle frequenze di Radio Maria, ai raggi gamma delle esplosioni nucleari, passando per il lilla del cioccolato Milka.

La luce visibile è un intervallo piccolissimo compreso tra l’infrarosso e l’ultravioletto e per questo non è difficile immaginare che l’universo sia un continuo baluginare di colori che non siamo capaci di vedere.

Video del nostro sole realizzato dal Solar Dynamic Observatory della Nasa che monitora la nostra stella 24 ore su 24, catturando immagini su 10 diverse lunghezze d’onda

Le Foto Impossibili

Per catturare lunghezze d’onda, come l’infrarosso e l’ultravioletto, che i nostri occhi non possono vedere, si usano strumenti (filtri e sensori) che sono in grado di enfatizzarle e riprodurle. Ma anche in questo caso quello che otteniamo è una fotografia in bianco e nero. Per colorare queste immagini si assegnano alle lunghezze d’onda invisibili i colori dello spettro visibile, costruendo una rappresentazione verosimile di come si presenterebbe l’oggetto fotografato se fossimo in grado di percepire tutto lo spettro elettromagnetico.

Una stessa porzione di universo può apparire estremamente diversa se la siguarda con occhi umani, nell’infrarosso o nell’ultravioletto. A fini scientifici è estremamente interessante poter disporre di tutte queste versioni della medesima realtà, senza contare che è incredibilmente affascinante poter percepire un universo parallelo normalmente precluso ai nostri sensi, che nonostante questo sta là fuori e si agita in un ribollire impetuoso di ammassi di gas che collassano genarando stelle, galassie che si scontrano, soli che muoiono esplodendo e così via. Tutta roba che ci rimette al nostro posto, lascio a voi indovinare quale sia.

Nebulosa Granchio nello spettro visibile
Fonte NASA
Nebulosa Granchio ai raggi x
Fonte NASA
Nebulosa Granchio agli infrarossi
Fonte NASA
Nebulosa Granchio, composizione delle tre foto precedenti
Fonte NASA
Pillars of Creation (i Pilastri della Creazione) fotografati in luce visibile (a sinistra) e all’infrarosso (a destra)
Fonte NASA

I Falsi Colori

La terza ed ultima tecnica utilizzata per colorare l’universo è quella dei falsi colori, che serve per enfatizzare determinati elementi della scena. Per esempio se si vuole differenziare una nube di ossigeno da una di idrogeno, oppure se si vogliono distinguere zone che hanno temperature differenti. In tutti questi casi si assegnano dei colori in modo più o meno arbitrario ai diversi oggetti presenti nella scena.

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Fotografo

Fotografo e videomaker, dal 2009 si divide tra fotografia di matrimonio e documentaria. Come documentarista ha pubblicato su National Geographic Italia, L'Espresso e riviste minori. Come matrimonialista ha avuto l’opportunità di lavorare in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera e Bermuda. http://www.francescorossifotografo.it/