La FotoCosa del Giorno | Martin Parr Non è Razzista

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La settimana scorsa è uscita la notizia del passo indietro fatto dal fotogrado Martin Parr che, accusato di razzismo, ha deciso di ritirarsi dal ruolo di direttore artistico del Bristol Photo Festival.
Le dimissioni di Parr sono l’atto finale di una protesta iniziata un anno e mezzo fa da una studentessa britannica. Le critiche erano rivolte alla riedizione di London (un libro fotografico del 1969 del bresciano Gian Butturini, scomparso nel 2006) curata dal fotografo britannico.

La pietra dello scandalo, secondo l’accusatrice, è la scelta di affiancare la foto di una signora di colore a quella di un gorilla in gabbia. Scelta peraltro non operata da Martin Parr, dato che la riedizione di London, ristampato nel 2017, è fedele in tutto e per tutto alla prima stampa, che fu autoprodotta da Butturrini.

Analfabetismo Funzionale & Analfabetismo Visivo

Il linguaggio fotografico è ambiguo e la scelta di affiancare due immagini come queste può suggerire i più svariati significati.
Tutto ciò che l’osservatore può fare è formulare una serie di ipotesi, che saranno tanto più accurate quanto più profonda è la sua conoscenza del contesto all’interno del quale vengono presentate le foto.
In questo caso le informazioni per decifrare il problematico accostamento erano nella prefazione al libro (sia nell’edizione originale che nella ristampa), scritta dallo stesso Butturini:

Ho fotografato una donna nera, chiusa in una gabbia trasparente; vendeva biglietti per la metropolitana: una prigioniera indifferente, un’isola immobile, fuori dal tempo nel mezzo delle onde dell’umanità che le scorreva accanto e si mescolava e si separava attorno alla sua prigione di ghiaccio e solitudine

Gian Butturini

E’ palese l’analfabetismo funzionale di chi ha lanciato la protesta – e di quelli che l’hanno sostenuta – perciò la vicenda diventa addirittura grottesca quando si legge che il regista Benjamin Chesterton si spinge a definire Parr visivamente analfabeta (quando si parla di temi razziali).

Povero Parr, re del grottesco, travolto da una vicenda grottesca.

Cancel Culture e Libertà di Espressione

La querelle sul presunto razzismo di Martin Parr arriva poco dopo la lettera aperta di Harper’s Magazine firmata da scrittori, giornalisti ed accademici, che si scagliano contro quella che negli USA viene definita Cancel Culture.

Per chi non lo sapesse, con questo termine si identifica la tendenza ad attaccare collettivamente persone famose che palesano idee o comportamenti rienuti sbagliati e offensivi, indipendentemente dall’entità del fatto commesso o dal momento in cui questo si è verificato (alcune delle accuse riguardano fatti avvenuti decenni prima).
Gli attacchi mirano a boicottare o a indurre al licenziamento dell’improvvido malcapitato e sono spesso lanciati da giovani che lottano per cause assolutamente condivisibili (proprio come nel caso dell’accusatrice di Martin Parr).

La capacità censoria di simili pratiche, che nascono e sono a tutti gli effetti tentativi reazionari, non risultano così immediatamente percepibili. Sono censure ma assomigliano a punti di vista (sovente punti di vista popolari e ragionevoli, vicini al comune sentire delle persone); sono tentativi di condizionare l’ampiezza del discorso pubblico non attraverso limitazioni fisiche, libri bruciati, bocche tappate, intimidazioni urlate, ma utilizzando armi indirette meno fragorose ma egualmente efficaci. Che hanno come risultato finale quello di rendere asfittica e eccessivamente cauta la discussione pubblica e, facendo questo, annichiliscono il pensiero progressista, costringendo chi esprime idee e posizioni pubbliche “di frontiera” a continue non necessarie cautele. E quando non sono costruite a tavolino simili dinamiche sono il risultato di una grande onda di massimalismo digitale che si genera autonomamente e che sembra non lasciarci scampo.

Massimo Martellini, leggi l’articolo integrale sul Post

Sostenere una causa giusta non solleva nessuno dalla responsabilità di mettere in moto il cervello prima di fare o semplicemente parlare. Prese di posizione ottuse, intransigenti e aggressive, come quella di cui abbiamo parlato oggi, danneggiano la causa per la quale si combatte, facendo perdere credibilità a chiunque la sostenga.

Inoltre, il proliferare di atteggiamenti come quelli propri della Cancel Culture ammazza il pensiero divergente e induce la forma più subdola di censura: quella autoimposta.
Così muore ogni possibilità di uscire dal vicolo cieco delle nostre personali visioni del mondo, che spesso sono piccine piccine e, ahimé, ancora più spesso, non sono nient’affatto personali.

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Fotografo

Fotografo e videomaker, dal 2009 si divide tra fotografia di matrimonio e documentaria. Come documentarista ha pubblicato su National Geographic Italia, L'Espresso e riviste minori. Come matrimonialista ha avuto l’opportunità di lavorare in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera e Bermuda. http://www.francescorossifotografo.it/