La FotoCosa del Giorno | No, Steve McCurry non è solo il tizio della ragazza afgana

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Steve McCurry nasce il 23 Aprile 1950 a Filadelfia. E no, non è semplicemente il tizio della Ragazza Afgana.
McCurry è quello che, dal Pakistan, con l’aiuto di un gruppo di rifugiati, è entrato clandestinamente in Afghanistan, nel momento in cui i sovietici invasori chiudevano il confine ai giornalisti.
Ne esce settimane dopo, travestito come un locale, con la barba folta e un tesoro inestimabile di rulli cucito tra la stoffa dei vestiti.

Quelle foto mostrano per la prima volta al mondo i visi dei Mujaheddin, che si opporranno per dieci anni (dal Dicembre del ’79 al Febbraio ’89) agli invasori russi, riuscendo infine a respingerli.

Il servizio gli vale la Robert Capa Gold Medal for Best Photographic Reporting from Abroad. Da quel momento in poi la carriera di Steve sarà costellata di premi e riconoscimenti, e passerà oltre un decennio a documentare i principali conflitti (guerra Iran-Iraq, guerra civile libanese, guerra civile cambogiana, insurrezione islamica nelle Filippine, prima guerra del Golfo e guerra civile afgana).

Il lavoro di McCurry sulla Prima Guerra del Golfo (abbiamo già affrontato il tema qui, mostrando le foto realizzate da Sebastião Salgado nello stesso periodo).

Negli anni McCurry si costruisce meritatamente un nome e la sua fama travalica il confine del mondo degli appassionati di fotografia.
Il suo stile diventa riconoscibilissimo al punto che se dici “questa è una foto alla McCurry”, tutti capiscono di cosa stai parlando.

Le sue mostre girano il pianeta, puoi trovarle ovunque, e i suoi lavori vengono smembrati e riassemblati ad ogni nuova esposizione, in un tripudio multiforme di facce esotiche, con colori alla McCurry, composizioni alla McCurry, luci alla McCurry…
E’ tutto così alla McCurry che McCurry, che ormai è diventato un fenomeno commerciale e vive di rendita (non senza meriti), ad un certo punto ha rotto le scatole.
Era inevitabile che accadesse.

Ma quello che probabilmente lo ha reso uno dei fotografi più divisivi della storia è lo scandalo delle foto post-prodotte (male), scoperto nel 2016 dall’italiano Paolo Viglione.

L’errore grossolano fu commesso da un tecnico di laboratorio e la difesa di McCurry è tutta in queste parole affidate alla penna di Michele Smargiassi:

Io penso che le mie fotografie debbano riflettere la situazione che ho incontrato, vissuto e fotografato. Ma il mio lavoro non è oggi quello del raccoglitore di notizie. Ho iniziato col fotogiornalismo, certamente, in Afghanistan e in Libano, in quei casi il tuo dovere è raccontare fatti, raccogliere documenti visuali, testimonianze dirette. Poi però il mio lavoro si è evoluto. Oggi credo di essere soprattutto uno storyteller, il mio obiettivo è raccontare la storia della mia avventura col mondo […]

Da diversi anni posso viaggiare per progetti personali, senza precisi incarichi e commissioni dalle riviste, e questo mi dà una libertà straordinaria, sicuramente maggiore di chi deve raccontare la guerra in Siria o in Iraq. Non è piu un lavoro di news, non cerco di dare informazioni su un luogo, non pretendo di farvi capire com’è oggi Cuba, come vive la gente in quella società, non ho questi vincoli. Ma credo ancora che le mie fotografie rispettino la verità dei luoghi che incontro. Mi rifiuto di pensare al mio lavoro come a una manipolazione arbitraria della realtà. Penso piuttosto a me stesso come a un viaggiatore che esplora con curiosità la scena del mondo, viaggiare è per me il modo migliore che esista di usare il tempo, e mi dà gioia poter trasmettere queste sensazioni a chi guarderà le fotografie. Quello che mi intressa è comunicare il mio feeling di quel luogo. Quel che faccio dopo lo scatto è solo cercare di ottenere il meglio dalle mie immagini, permettere loro di raccontare la mia esperienza profonda di un viaggio. Le fotografie di Cuba sono state prese con questo spirito. Se qualcosa non lo ha rispettato, è stato un errore su cui dovrò riflettere.

Steve McCurry su Fotocrazia, 2 Maggio 2016

Quella di McCurry è la storia di un reporter che, grazie al suo innegabile talento, si è ricavato un posto nel gotha della fotografia, e lo ha fatto talmente bene da riuscire a venir fuori dalla cerchia ristretta dei duri e puri del reportage, diventando quello che credo si possa definire un fotografo di massa.
Lo stile un po’ ruffiano dei suoi ritratti (che sono la parte della sua produzione più nota al grande pubblico) è stato citato, scopiazzato e riproposto da migliaia di fotografi, diventando quasi uno standard nella fotografia di viaggio, al punto che molti oggi potrebbero definirlo banale.

Queste cose, sommate all’inizio dell’inevitabile parabola discendente della sua carriera e agli scandali delle foto ritoccate, ci hanno fatto dimenticare che McCurry non è solo il tizio della ragazza afgana.

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Fotografo

Fotografo e videomaker, dal 2009 si divide tra fotografia di matrimonio e documentaria. Come documentarista ha pubblicato su National Geographic Italia, L'Espresso e riviste minori. Come matrimonialista ha avuto l’opportunità di lavorare in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera e Bermuda. http://www.francescorossifotografo.it/