Cose d’arte | La Noia

Jove Decadent (1899) Ramon Casas

La noia è questo strano sentimento che accomuna la sfera umana. Di fronte all’insensatezza del mondo, al vuoto che ci sovrasta, in mancanza di occupazioni, di frenesia costante e di movimento bulimico, ci sentiamo come oggetti paralizzati di un tempo infinito e indefinito.

Questa sensazione incute paura, noi del collettivo libero anti noia (CLAN) abbiamo dedicato il nostro tempo a contrastarla, un’ambizione ideale e al tempo stesso bizzarra. Una volontà di creare stimoli in grado di generare nuove risorse e modalità, per riempire quel vuoto sconosciuto, che costantemente abbiamo bisogno di colmare, per non cadere nell’abisso dei pensieri.

Tuttavia, non esiste un sistema che ci esonera dal continuare a provare questo senso di malessere interiore, questa condizione monotona di insoddisfazione, in quanto nulla può saziare la ricerca continua di impiegare ogni singolo frammento di tempo.

Autoritratto mentre sbadiglia – Joseph Ducreux

L’arte di annoiarsi

La noia è quello stato di sospesa anticipazione in cui qualcosa potrebbe succedere ma nulla accade, uno stato d’animo di diffusa irrequietezza che circonda il più assurdo e paradossale dei desideri, il desiderio di un desiderio.”

Adam Phillips

Nella storia dell’uomo questo desiderare è stato chiamato in modi diversi (otium, accidia, melancholia, spleen, ricerca dell’ignoto, infelicità) ma non sempre ha avuto una connotazione negativa, come nella società moderna. La noia era uno stimolo che dava vita alla riflessione, alla filosofia, all’arte, un malessere che stimolava l’uomo a riflettere sulla sua condizione esistenziale, ad ascoltare la propria coscienza, i propri impulsi e desideri.

Provare a desiderare quindi, non è certo una cosa da sottovalutare, il desiderio è fatto di speranza, di sogni. Nel momento in cui la mente divaga, è capace di produrre pensieri e creare. Ecco che la noia, sotto vari aspetti e declinazioni, ha prodotto veri e propri capolavori.

Gli artisti, hanno fatto di questa emozione profonda ed esistenziale un pretesto per raccontare e rappresentare riflessioni e processi creativi.


La noia è Malinconia

Malinconia (1894) Edvard Munch

Quando la noia è angoscia, i contorni si sfaldano, le forme perdono tridimensionalità, i colori e i movimenti assumono fluidità, come in Malinconia di Edvard Munch. Una serie di 5 dipinti e 2 xilografie che ritraggono un uomo seduto sulla spiaggia, pensieroso e ripiegato su se stesso, nel tipico atteggiamento malinconico. La serie, ispirata alla relazione sentimentale dell’amico giornalista Jappe Nilssen con Oda Krohg, moglie del pittore Christian Krogh, è influenzato anche dal ricordo personale di una relazione amorosa che Munch aveva avuto con una donna sposata.

Il dipinto semplifica le forme e le linee, delineando una composizione che riflette uno stile intenso e psicologico, finalizzato a raccontare un’atmosfera, più che un ambiente. Un’insolita spiaggia color petrolio, due sagome in lontananza che sembrano proiettare un ricordo e un sentimento di gelosia della figura in primo piano, trasmettono un senso di profonda tristezza e malinconia, una visione interiore del mondo che riconduce alla noia di vivere.

In Malinconia, Munch materializza il conflitto tra realtà interiore ed esteriore trasformandolo in processo creativo, anticipando il concetto dei dipinti successivi Disperazione e L’Urlo, nei quali è approfondito il tema dell’estraneazione dell’uomo con l’ambiente circostante.


La noia è Solitudine

Solitudine (1925-1926) Mario Sironi

L’esperienza della noia ha forse un elemento fondamentale che la accompagna: la solitudine. Nell’abisso del dramma umano, vissuto come una condizione di isolamento e distaccamento, la rappresentazione del dipinto di Mario Sironi esprime una visione realistica e cruda della realtà.

Promotore di un ritorno alla tradizione classica, Sironi esprime personali e disperate critiche ad un’epoca di cieco materialismo, che già al tempo mostrava i segni di un disseminato progresso. Le persone, inscatolate negli agglomerati urbani, si ritrovano sole, annoiate, consapevolmente sofferenti per un ruolo che le costringe a divenire semplici oggetti, cose, numeri. La noia sembra pervadere i suoi personaggi, che posano soli in un ambiente spoglio e arcaico.

La donna di Solitudine mostra un’espressione triste e rassegnata, il suo corpo immobile e parzialmente nudo, svela l’autenticità di un’anima, grida silenziosamente un dolore interiore che è possibile superare solo distaccandosi da un mondo instabile, incerto, in rapida e continua (ed effimera) trasformazione.


La noia è Attesa

Summer in the city (1950) Edward Hopper

L’attesa è il tempo che trascorriamo sospesi tra un fatto e la sua realizzazione. Il tempo incessantemente noioso che apre a possibilità o false speranze. Hopper è l’artista che dà sostanza a questa attesa, lenta e tragica, di qualcosa che dovrà accadere o arrivare. Illumina le sue opere di una luce intensa che mette in evidenza la solitudine e l’individualismo umano.

I suoi personaggi, in una raffigurazione realistica ma al tempo stesso distorta, soffrono per la mancanza di un senso da dare alla realtà. Aspettano, da soli o in coppia, tormentati dall’insoddisfazione, dalla banalità e dalla noia del quotidiano. Sembrano cercare e attendere una speranza, rappresentata da quella luce profonda e viva che penetra in ogni quadro, si rifugiano in una solitudine fatta di stanze (Room in New York), ristoranti (Automat), cinema (Cinema a New York), dove si percepisce la distanza dei rapporti umani, l’impossibilità di colmare questo disagio con oggetti, attività ricreative o amore fisico. Sono fermi, distanti e costantemente alienati, sembrano attendere, con speranza, un certo Godot.


La noia è silenzio

Interno con donna seduta (1864-1916) Vilhelm Hammershøi

Quando si pensa alla noia, viene in mente il silenzio, e insieme ad esso, l’immagine di una persona che si aggira per casa cercando un’occupazione. Nelle opere del maestro danese Vilhelm Hammershøi(1864-1913) sembra quasi di sentirlo questo silenzio. Nelle sue composizioni dall’atmosfera immobile, il tempo si è fermato.

Le figure, quasi sempre riprese di spalle (ad es. Interno con Donna in Piedi, Interno con Piano e donna in Nero), aspettano silenziose in uno spazio nebbioso e scarno, capace di proteggerle e allo stesso tempo isolarle dalla realtà esterna. In queste stanze, che si succedono intervallate da porte, tutto è così essenziale, muto e senza racconto, che pare nascondere un enigma da decifrare, un’armonia apparente che mette in luce una profonda solitudine.

Il “realismo malinconico” di Hammershøi, è stato paragonato all’intimità della pittura di Vermeer, alle silenziose nature morte di Morandi e ai dipinti di Hopper. Inoltre si trovano riferimenti al dramma borghese di Ibsen, alle atmosfere dei film di Ingmar Bergam e ai film contemporanei del movimento Dogma 95.


La noia è il tempo che scorre

Serious Snack (2011) Hope Gangloff

La noia è anche trascorrere del tempo senza avere un’occupazione precisa, in casa, all’aerea aperta, quel frammento di vita nel quale ci perdiamo nel disordine della nostra individualità. I personaggi ritratti da Hope Gangloff sono ragazzi e ragazze colti in attimi di meditazione, perdizione, attesa. I colori e i tratti trattengono un’atmosfera ferma, fatta di corpi fragili e assenti, che ricordano certe opere di Schiele.

Sono fotografie istantanee di momenti spontanei, catturate quando lo sguardo si assenta, e la noia invade lo spazio. Istanti di semplice quotidianità, nei quali i soggetti trascorrono il tempo mangiando davanti alla tv, bevendo birra in veranda (Land’s End), mettendosi lo smalto (Sara Vanderbeek in her bath closet), ascoltando musica (Linna in my house), accarezzando gatti (Must Seriously Love Cats – Greg Lindquist). Immagini rubate di volti distratti, che non guardano mai l’obiettivo, e sembrano persi nei loro pensieri. Hope Gangloff dà importanza e valore alla banalità, in un tentativo di ritrarre l’umanità nel senso più profondo e intimo della sua essenza.


La noia è quotidianità

Supermarket Lady (1969) Duane Hanson

Le sculture iperrealistiche di Duane Hanson rappresentano vite ordinarie di personaggi non speciali, scolpiti nel vuoto e nella noia di azioni comuni. Sono persone che non si fanno notare, ai margini della folla, familiari nel loro aspetto realistico, inconsuete come opere d’arte. Le sculture in fibra di vetro di Hanson sono un’analisi e una critica della società americana, un’esaltazione della banalità della vita. Casalinghe (Housewife – Homemaker), turisti (Tourist II), lavoratori (Housepainter I), addetti alle pulizie (Queenie II), una serie di esistenze vissute con pacata disperazione, dove si mostra il vuoto, l’invecchiamento, la fatica, la frustrazione. L’intenzione dell’artista era quella di mostrare al pubblico la vita nel suo divenire quotidiano, esortare le persone a prendere coscienza di quello che vivevano e vedevano. L’osservazione della gente comune doveva essere un modo per guardare dentro sé stessi ed esplorare la propria essenza.

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