#LiberArtiCLAN | Parliamo di Censura
Alla morte di Lorenzo il Magnifico, l’attività predicatoria del frate domenicano Girolamo Savonarola scosse definitivamente gli animi di Firenze, una città già in fermento a seguito delle guerre portate nel territorio italiano da Carlo VIII di Francia determinato a prendersi anche la corona del Regno di Napoli che gli spettava, sosteneva, per supposti diritti ereditari. La rivolta popolare che ne seguì, portò alla cacciata del primogenito di Lorenzo, Piero, e alla proclamazione della Repubblica. I gruppi politici si divisero in molte fazioni: quella dei Bianchi, fedeli alla Repubblica, e dei Bigi, favorevoli ai Medici; quella degli Arrabbiati, nemici giurati del frate e quella dei cosiddetti Piagnoni, sostenitori dell’animatore spirituale Savonarola.
In questo contesto culturale, le omelie di Savonarola, ispirate all’Apocalisse e ai libri profetici, colpivano i vizi del suo tempo e gli abusi di un governo ritenuto tirannico. Savonarola condannava il culto del lusso e predicava la dedizione alla gloria di Dio! Si chiusero le taverne e si punirono le donne che indossavano abiti ritenuti lascivi; si misero al bando gli strumenti musicali e si vietò il gioco dei dadi. Proibito fu anche l’utilizzo di ogni tipo di cosmetico che potesse assecondare le vanità di uomini e donne.
Così, il carisma del frate e la sua predicazione sul Giudizio incombente, convinsero i cittadini a bruciare, il 7 febbraio del 1497 – ultimo giorno del Carnevale e inizio del tempo della Quaresima – ogni oggetto che ricordasse i fasti dell’epoca medicea, inducendo i fiorentini a condurre una vita volta alla penitenza e all’essenzialità.
Furono bruciati libri, opere d’arte, suppellettili e mobilia, vestiti e tutto ciò che potesse ricordare la mondanità, l’opulenza e la corruzione della Firenze della Signoria dei Medici. Non una novità, perché falò di volumi, quadri e altri oggetti sono stati utilizzati già dall’antichità e fino a tempi recenti, non solo dalla Chiesa. La forza distruttiva del fuoco è sempre stata proiettata sugli oppositori e particolarmente sui libri che ne incarnavano il pensiero.
L’iniziativa di Fra Girolamo deve dunque essere inquadrata nell’ambito di una tradizione sviluppatasi nel tempo ma non per questo sono meno da rimpiangere le opere d’arte andate perdute: Vasari narra come le prediche savonaroliane contro le immagini licenziose abbiano indotto molti artisti a bruciare la loro produzione artistica. Per dare un’idea della forza di persuasione del frate basta sapere che anche Sandro Botticelli rimase colpito da alcune sue tesi tanto da portare volontariamente sul rogo alcune sue tele.
Contro il papato corrotto Savonarola, disgustato, intonava queste parole: «Noi conduciamo li uomini alla simplicità e le donne a onesto vivere, voi li conducete a lussuria e a pompa e a superbia, ché avete guasto il mondo e avete corrotto li uomini nella libidine, le donne alla disonestà, li fanciulli avete condotto alle soddomie e alle spurcizie e fattoli diventare come meretrici».
Se è vero che l’arte tutta non dovrebbe essere bruciata per appagare la sete di censura morale e ideologica, è pur vero che la violenza ha sempre generato violenza: così, il 23 maggio del 1498, nella stessa piazza sulla quale in febbraio era stato acceso il fuoco per bruciare le vanità, venne eretto lo stilo al quale furono impiccati e poi arsi Savonarola e i suoi sostenitori.
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